Con la Sentenza n. 19161 del 2 agosto 2017 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiarito i confini che intercorrono tra le figure del mediatore, del procacciatore d’affari e dell’agente, e sono giunte ad affermare che anche il procacciatore d’affari – essendo sostanzialmente un “mediatore atipico” – è tenuto ad iscriversi all’albo dei mediatori per maturare il diritto alla provvigione.
Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte riguardava la titolare di uno studio tecnico industriale che si era attivata al fine di reperire potenziali acquirenti di macchinari di proprietà di una società, la quale era poi riuscita a venderli grazie all’intermediazione della professionista.
Non avendo ricevuto alcun compenso per l’attività svolta, quest’ultima citava in giudizio la società avanti il Tribunale di Verona, al fine di ottenerne la condanna al pagamento della provvigione. La convenuta, dal canto suo, eccepiva la nullità dell’accordo sulla provvigione stipulato con la procacciatrice, a causa della sua mancata iscrizione all’albo dei mediatori, negando che fosse così maturato il diritto alla provvigione.
Il Tribunale di Verona accoglieva la tesi attorea, condannando la società al pagamento del compenso pattuito. In seguito, la Corte d’Appello di Venezia rovesciava il verdetto di primo grado, accogliendo le argomentazioni esposte dalla convenuta.
A seguito del ricorso per Cassazione dell’attrice, la Seconda Sezione sollecitava un intervento delle Sezioni Unite, chiedendo di dirimere le divergenze insorte nella giurisprudenza di legittimità in materia di “mediazione atipica”.
Secondo una prima tesi, infatti, la disciplina sulla mediazione non poteva essere estesa analogicamente al procacciatore d’affari “per la ontologica differenza tra le due figure” da rinvenirsi nella posizione di terzietà, riscontrabile unicamente nel mediatore; questo orientamento privilegiava l’interesse a non lasciare senza compenso l’attività pur sempre svolta dal procacciatore a favore del preponente.
Una diversa impostazione – tesa, piuttosto, a combattere la piaga dell’abusivismo della professione del mediatore – ravvisava l’esistenza di un “nucleo comune tra le due figure“, ritenendo quindi applicabile anche al procacciatore d’affari la disciplina sulla mediazione prevista dalla legge n. 39/1989 e dal D.Lgs. 59/2010 (c.d. Bersani-bis).
Si consideri che in base all’art. 6 della l. n. 39/1989, la provvigione è dovuta “soltanto a coloro che sono iscritti nei ruoli” istituiti presso le Camere di Commercio. Sebbene il D.Lgs. 59/2010 (c.d. Bersani-bis) abbia soppresso l’art. 2 della l. 39/1989 istitutivo dei ruolo dei mediatori, il predetto art. 6 rimane ancora vigente, con la conseguenza che la provvigione risulta a tutt’oggi dovuta solo ai mediatori iscritti nei registri delle imprese o nei repertori tenuti dalla Camera di Commercio.
Ebbene, con la sentenza in commento, le Sezioni Unite hanno aderito al secondo degli orientamenti citati, ritenendo tra loro assimilabili il mediatore atipico ed il procacciatore d’affari, sebbene non manchino i tratti distintivi tra le due figure.
Da un lato, vi è il mediatore, ossia “colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresenza” (art. 1754 c.c.). Elemento caratterizzante la figura in parola è, dunque, l’imparzialità rispetto alle parti.
Rileva, però, la Corte, che accanto alla mediazione così descritta – detta tipica – esiste anche quella atipica o unilaterale, fondata sul rapporto tra il mediatore ed una soltanto delle parti.
Dall’altro lato, vi è il procacciatore d’affari, il quale collabora occasionalmente con il preponente svolgendo un’attività connotata dall’assenza di subordinazione e dalla mancanza di stabilità, consistente nella segnalazione di potenziali clienti e nella raccolta di proposte di contratto, senza alcun potere d’intervento nelle trattative.
Il procacciatore, dunque, opera su incarico e nell’interesse di una sola delle parti. In tal senso la sua posizione è assimilabile a quella del mediatore atipico. Laddove, invece, il suo rapporto si stabilizzi con un determinato preponente, esso può essere ricondotto alla figura dell’agente.
Ebbene, nonostante le differenze descritte, secondo le Sezioni Unite esiste comunque “un nucleo essenziale” comune alle prestazioni del mediatore e del procacciatore, costituito dall’opera di interposizione tra più soggetti messi in contatto per la conclusione di un affare.
Detta comunanza è ravvisabile, altresì, in relazione alle ragioni sottostanti alla previsione dell’obbligo di iscrizione del mediatore, consistenti, per un verso, nella volontà di “riservare lo svolgimento dell’ attività di mediazione – tipica o atipica – solo a soggetti in possesso di determinati requisiti di idoneità tecnica e morale” e, per altro verso, di “tutelare il generale interesse ad un ordinato e corretto sviluppo di un’attività che spesso costituisce l’unico tramite per la conclusione degli affari“.
Per tali ragioni, conclude la Suprema Corte, anche il procacciatore d’affari – essendo sostanzialmente equiparato ad un “mediatore atipico” – è tenuto ad iscriversi all’albo dei mediatori per poter maturare il diritto alla provvigione.