La sentenza in esame innerva la specifica questione relativa all’inquadramento, rectius all’esatta identificazione patologica, della fattispecie giuridica costituita dalla mancata registrazione di un contratto di locazione di immobile ad uso non abitativo.
Orbene, ripercorrendo – lapidariamente – lo svolgimento processuale, è agevole riscontrare come parte attrice adiva l’Autorità Giudiziaria di Ravenna al fine di ottenere la risoluzione di un contratto locatizio, con contestuale richiesta risarcitoria del danno sofferto derivante da illegittima occupazione, cagionato dal convenuto, resosi gravemente inadempiente all’obbligazione fondamentale ex art 1587 c.c., per non aver “dato il corrispettivo nei termini convenuti“, propria del conduttore.
Radicatosi il contraddittorio, parte convenuta fondava la propria difesa eccependo come inter partes non fosse mai stato stipulato alcun contratto di locazione. Il Tribunale di Ravenna, celebratesi le udienze di rito, accoglieva la domanda attorea.
Successivamente, parte soccombente adiva la Corte di Merito bolognese, ove, tuttavia, quest’ultima – errando – rigettava il gravame adducendo le seguenti motivazioni: 1) il contratto di locazione doveva ritenersi concluso anche se inefficace poiché non registrato; 2) l’inefficacia del contratto di locazione non esimeva l’occupante dall’obbligo di pagamento del canone pattuito, come corrispettivo della detenzione intrinsecamente irripetibile”.
L’appellante, avverso detta sentenza, proponeva ricorso ai Giudici di Piazza Cavour che, ritenendo giuridicamente viziata l’impugnata sentenza la cassava con rinvio.
Più nel dettaglio, prendendo le mosse dal circostanziato e pacifico evento relativo alla mancata registrazione del contratto di locazione in parola, palmare, financo lapalissiana, risultava essere la nullità del contratto de quo, alla luce del chiaro dettato normativo di cui alla L. n. 311 del 30 dicembre 2004 laddove espressamente asseveri che “i contratti di locazione […] sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati“.
Ad Abundantiam, il Supremo Collegio forniva, altresì, un imprintig costituzionalmente orientato richiamando la sentenza del 5.12.2007 n. 420 Corte Cost. ove veniva osservato che la prefata l. n. 311 del 2004 ha elevato la norma tributaria al rango di norma imperativa, la cui violazione determina la nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 c.c..
Le conseguenze, dirette ed immediate, di tali assunti riverberano i propri effetti ponendo in evidenza un duplice errore commesso dalla Corte d’Appello bolognese, laddove da un lato quest’ultima ha ritenuto applicabile l’art. 1458 c.c. (effetti della risoluzione del contratto) e non gli effetti della nullità e, dall’altro, ha equiparato l’obbligo di pagare il canone, con l’obbligo di indennizzare il proprietario per non aver potuto disporre dell’immobile.
Alla luce di quanto esposto, la Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: “il contratto di locazione non registrato è nullo ai sensi dell’art. 1, comma 346, L. 30 dicembre 2004, n. 311; la prestazione compiuta in esecuzione d’un contratto nullo costituisce un indebito oggettivo, regolato dall’art. 2033 c.c., e non dall’art. 1458 c.c.; l’eventuale irripetibilità di quella prestazione potrà attribuire al solvens, ricorrendone i presupposti, il diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. od al pagamento dell’ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.[1]“.
Pertanto, in ragione di quanto sopra, l’esatta identificazione patologica della mancata registrazione del contratto in esame consiste nella nullità, i cui unici rimedi esperibili dal locatore, a fronte dell’indisponibilità dell’immobile, consistono nel risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. ovvero nell’ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.,; è appena il caso di rilevare, infine, la volontà del legislatore di sanzionare l’elusione degli obblighi tributari in capo al cittadino.
[1]Cass. Civ. Sez. III, 13/12/2016, n. 25503 Pluris – Wolter kluwer.